Visualizzazione post con etichetta esperimenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta esperimenti. Mostra tutti i post

lunedì 5 novembre 2018

1A - Esperimenti con le gocce d'acqua

Qualche osservazione sull'esperimento di oggi.

Talvolta si vedono alcuni insetti (i gerridi, vedi sotto) che camminano sull’acqua; si può far galleggiare una graffetta metallica o una moneta, ponendoli con delicatezza sulla superficie del liquido. Perché non affondano?
Il fenomeno può essere spiegato con la tensione superficiale.

I liquidi hanno una struttura interna costituita da molecole vicine le une alle altre. L’intensità delle forze fra molecola e molecola, dette forze di coesione, non garantisce la compattezza del materiale.


Una molecola d'acqua A è circondata da altre molecole simili che la attraggono. La molecola A, sotto l’azione di queste forze di attrazione, tenderà a spostarsi un po' verso la molecola più vicina, ma manterrà nel tempo la propria posizione. Una molecola come la B, vicino alla superficie libera del liquido, sentirà anch’essa la forza attrattiva esercitata dalle molecole vicine, ma queste si trovano soltanto sotto accanto alla molecola B. La molecola B (e tutte quelle vicine alla superficie libera del liquido) è attratta più efficacemente verso l’interno del liquido stesso. Per questo motivo il liquido si comporta come se ci fosse una pellicola invisibile che lo tiene unito. E' una forza di origine molecolare cui si dà il nome di tensione superficiale.
Dunque una molecola d'acqua è completamente circondata da altre molecole con le quali interagisce e dalle quali si sente attratta. Tali forze di attrazione si esercitano sulla molecola da tutte le direzioni dello spazio, per cui alla fine la forza che ne risulta è nulla: per una forza che la attrae in un verso verso ne esiste un'altra uguale che la attrae nel verso opposto!
Le cose cambiano se la molecola si trova in prossimità della superficie libera dell'acqua perché questa molecola è attratta solamente da quelle sottostanti e dalle altre molecole sulla superficie. In particolare essa non subisce alcuna forza attrattiva dall'alto che controbilanci quella dal basso. In conclusione: le molecole in superficie sono attratte verso l'interno del liquido. Questa forza produce le caratteristiche di superficie elastica che l'acqua mostra.
La tensione superficiale tende a rendere minima la superficie di una goccia (a parità di volume, la sfera è il solido dotato di minor superficie).

E' come se si formasse uno strato di molecole in superficie che si tengono unite, permettendo in certe condizioni, come vedremo, il galleggiamento di oggetti anche più densi dell’acqua. La tensione superficiale è la tendenza delle molecole dei liquidi a stringersi le une alle altre. Immagino la superficie libera dell’acqua costituita da una rete di molecole d’acqua legate tra loro. Questa rete è abbastanza tesa che se un gerride (vedi sotto) lo sostiene e lo tiene a galla. 

Cosa fa il sapone alla goccia d'acqua?
Il sapone contiene tensioattiviEssi vengono utilizzati nell’industria dei detersivi e dei saponi (vedremo perché).
I tensioattivi sono sostanze che, aggiunte all’acqua, ne abbassano la tensione superficiale.
Quando la tensione superficiale diminuisce, diminuisce la coesione della superficie del liquido. 
Oltre a spiegare l'esperimento della goccia d'acqua, puoi fare a casa questo:

Materiale: bacinella – detersivo per piatti – borotalco.
Procedimento:
1-Versare della polvere di borotalco in una bacinella d’acqua.
2- Versare poi qualche goccia di sapone nella bacinella.
Osservazioni:
1- Dopo aver messo un po' di borotalco sulla superficie dell'acqua osservi che il borotalco ................ . 2- Aggiungendo poi una goccia di sapone sulla superficie dell'acqua si potrà osservare che il borotalco .............................  e poi ........................... dalla superficie dell'acqua.

Perché? Cosa succede quando aggiungiamo il sapone?
Le molecole di sapone hanno code idrofobe (= nemiche dell’acqua) e teste idrofile (amiche dell’acqua).


Osserviamo come si dispongono le molecole di sapone sulla superficie dell’acqua:
http://dm.unife.it/matematicainsieme/schiume/perc_chimica03.htm
Le molecole di sapone spingono le loro code idrofobe fuori dall’acqua (perché a loro non piace stare nell’acqua), mentre le teste idrofile separano le molecole d’acqua le une dalle altre. Questo fa diminuire la tensione superficiale perché la distanza fra le molecole d’acqua aumenta.

venerdì 26 gennaio 2018

1A - Laboratorio di scienze

Come fa una pianta a portare l’acqua ed i sali minerali dal terreno fino alle foglie che possono essere anche a notevoli altezze da terra?
La risposta si trova nei fenomeni di osmosi, capillarità e pressione.

Nelle piante superiori esiste un sistema di  vasi conduttori attraverso i quali l’acqua e i sali minerali (linfa grezza) raggiungono le foglie dove sono sintetizzate le sostanze organiche (linfa elaborata) che sono  distribuite attraverso vasi conduttori a tutte le cellule della pianta.
Negli alberi ad alto fusto l'acqua deve percorrere distanze che possono raggiungere anche diverse decine di metri (anche oltre 100 m in quelle americane).
Immagine da http://www.professorpok.com/2017/03/sequoia-trees.html

La sequoia sempreverde (Sequoia sempervirens) è un albero della famiglia delle Cupressaceae; il nome è un omaggio a Sequoyah, nativo americano Cherokee che inventò nel 1821 il sillabario CherokeeLe sequoie della specie sempervirens sono gli alberi più alti del mondo. Nel settembre 2006 l'albero più alto del parco nazionale statunitense di Redwood (situato lungo le coste californiane dell'oceano Pacifico), Hyperion, è stato misurato in 115,55 metri.

Nelle piante non sono presenti strutture che spingono l'acqua fino alle foglie dei rami più alti ma processi chimico fisici diversi agiscono insieme per permettere la risalita dell’acqua. 

Oggi abbiamo studiato l’osmosi.
Il fenomeno dell’osmosi è di grande importanza e spiega il passaggio di materia dall’ambiente alla cellula e viceversa.
Cominciamo con qualche osservazione sulle piante.
Nei peli radicali della radice sono presenti soluzioni molto concentrate di sali minerali, più concentrate che nel terreno circostante.
L'acqua che si trova nel terreno entra nei peli radicali appunto per osmosi: infatti l'acqua del terreno, che ha pochi sali disciolti, è una soluzione meno concentrata di quella presente all'interno delle cellule. La maggior parte dei sali minerali presenti nell'acqua del terreno entra nelle cellule dei peli radicali con un meccanismo di trasporto attivo, che per il momento non spieghiamo. Quello che ne consegue è che nei peli radicali della radice si concentrano i sali minerali, con una concentrazione maggiore rispetto al terreno circostante.

Ora ragioniamo sul nostro esperimento con le nostre fette di patata, costituita da cellule vegetali (ricordiamo che la membrana cellulare non è impermeabile, ma ha dei piccoli pori):

A sinistra, soluzione concentrata con molte molecole di sale (palline rosse) disciolte in acqua (palline blu); a destra soluzione poco concentrata. In mezzo la membrana. Immagina che la parte a destra sia la fetta di patata, a sinistra l'acqua del contenitore dove abbiamo aggiunto salePensiamo che la membrana cellulare (delle cellule della patata) lasci passare solo le particelle che hanno dimensioni più piccole di quelle dei pori, cioè le particelle di acqua.

A- fetta di patata in acqua fredda di rubinetto. L’acqua è in questo caso una soluzione con pochi sali, cioè poco concentrata.

B- fetta di patata in acqua salata. L’acqua è in questo caso una soluzione molto concentrata perché abbiamo messo molto sale.

Se ho due soluzioni acquose a diversa concentrazione possiamo dire che l’acqua diffonde dalla soluzione meno salata verso quella più salata, come se cercasse di diluirla. La differenza di concentrazione di sale ai due lati del divisorio spinge le molecole d’acqua a spostarsi dalla zona a più bassa concentrazione verso la zona a più alta concentrazione per cercare di ristabilire l’equilibrio.

Quindi cos’è successo alle nostre fette di patata immerse nella soluzione di acqua e sale?
L’acqua è andata dalla soluzione meno salata verso quella più salata, come se cercasse di diluirla. Cioè va fuori dalla patata, che si impoverisce d’acqua e diventa molliccia. 
Nelle cellule della patata la membrana cellulare lascia passare l’acqua dall’interno all’esterno, dove abbiamo messo sale in abbondanza.

Cos’è successo alle nostre fette di patata immerse nella soluzione di sola acqua?
Se invece nel contenitore dove abbiamo messo la patata non c’è sale, il passaggio è nell’altro senso e la patata diventa più turgida.


Allora abbiamo capito quello che si diceva prima, e cioè che l'acqua che si trova nel terreno entra nei peli radicali per osmosi: infatti l'acqua del terreno, che ha pochi sali disciolti, è una soluzione meno concentrata di quella presente all'interno delle cellule (nell'osmosi il flusso di solvente è diretto dalla soluzione meno concentrata alla soluzione più concentrata, separata dalla prima da una membrana semipermeabile).

VIDEO

La capillarità
Esperimento della zolletta di zucchero
Abbiamo fatto una cosa simile a quella della foto a destra. Invece del caffè abbiamo usato acqua colorata di verde in un piattino. Appena si immerge la zolletta l'acqua colorata saliva fino all'estremità superiore della zolletta.


Perché?
Una zolletta di zucchero è un solido poroso che contiene minuscoli spazi vuoti. E’ per questo motivo che l'acqua colorata (o il caffè) ci mette poco tempo per risalire l’intera zolletta.
Questo accade per il fenomeno della capillarità, per cui le molecole del liquido tendono ad “aggrapparsi” a quelle del recipiente che le contengono. Lo approfondiremo la prossima volta, dopo aver analizzato anche il sedano messo nel vasetto con acqua colorata.
VIDEO


sabato 28 febbraio 2015

Dire ”pesante” e ”aver maggior peso” è la stessa cosa?

Pesano più il ferro o le piume? L'acqua o il legno? Il legno o il ferro?

Abbiamo messo sulla bilancia due bicchieri uguali riempiti fino alla stessa tacca d'acqua e di sabbia (per avere due volumi uguali delle due sostanze).
Il confronto ci ha detto che pesa di più il bicchiere con la sabbia.
Ma se metto al posto del bicchiere una ciotola che può contenere più acqua, a un certo punto la ciotola con l'acqua (tenendo conto dei contenitori) peserà di più.
Per dire se "pesa l'acqua o la sabbia" devo confrontare volumi uguali.
A parità di volume la sabbia pesa più dell'acqua.


Abbiamo poi provato con due siringhe uguali, riempite con 5 cc d'acqua e 5 cc di olio e messe sui piatti della bilancia. La siringa con l'acqua pesa di più. A parità di volume l'acqua pesa più dell'olio. Scopriamo allora che volumi UGUALI di sostanze DIVERSE NON hanno lo stesso peso.


Prova tu
Materiale
2 cilindri da 10 cm^3 di acqua, bilancia, acqua distillata, olio, oggetti di ferro e di legno.
Procedimento
1- Pesa i due cilindri da 10 cm^3 vuoti, e ripesali dopo aver riempito il primo di olio ed il secondo d'acqua.Togli il peso dei cilindri (per avere il peso netto.
2-Ripesali dopo aver riempito il primo con 10 cm^3 di olio ed il secondo d'acqua ma per circa 2/3 di acqua (circa 6,6 cm^3).

Rispondi: chi pesa di più nei due casi? cos'è cambiato? nel primo i volumi d'acqua e olio sono ................... , nel secondo invece .................. Nel secondo caso constati che il peso dell’olio è maggiore. E' possibile conseguentemente affermare che l’olio è più pesante dell’acqua?

Organizza tu un esperimento per confrontare oggetti dello stesso volume.
Dire ”pesante” e ”aver maggior peso” non è la stessa cosa!

venerdì 16 gennaio 2015

2A - Saggio di Fehling

Oggi in laboratorio ricerca degli zuccheri usando la soluzione di Fehling, che, riscaldata in presenza di zuccheri, diventa da blu arancione (ad eccezione del saccarosio).
Abbiamo testato:
succo di pesca (filtrato), latte intero (cagliato con aggiunta di aceto e filtrato), soluzione di zucchero bianco(saccarosio) in acqua, soluzione in acqua di dolcificante con lattosio ed aspartame, succo ricavato schiacciando la polpa di una mela golden.
Per fare il test abbiamo usato 2 cc ottenuti mescolando in una provetta 1cc di Fehling A ed 1 cc di Fehling B, unendo il preparato a un'altra provetta con il liquido da testare.
Abbiamo immerso quest'ultima in acqua molto calda. In tutte le provette la soluzione era, prima dell'immersione, blu.
Qualche istante dopo l'immersione tutte le soluzioni, ad eccezione di quella di saccarosio, sono diventate arancio o rossastre.
Succo di frutta (pesca)
Latte intero
Saccarosio
Soluzione di dolcificante con fruttosio ed aspartame
Succo di mela preparato dal frutto
Allyson ha proposto di verificare cosa succede con la stevia. Abbiamo deciso di testare anche il miele e qualche bibita. Alessandro ha voluto vedere cosa succede al reattivo di Fehling riscaldato senza l'aggiunta di nessun'altra sostanza: è rimasto blu.

Approfondimento
Il reattivo di Fehling è un reagente sviluppato dal chimico tedesco Hermann von Fehling nel 1848. Con questo test si può misurare la concentrazione dello zucchero (in passato la concentrazione di glucosio nel sangue o nelle urine è stata valutata con questo metodo per diagnosticare il diabete mellito).
Il saggio di Fehling consiste nell'aggiunta alla soluzione acquosa di un carboidrato di quantità esattamente uguali di Fehling A e Fehling B; Il primo (A) è costituito da solfato rameico pentaidrato (CuSO4·5 H2O) (69,278 g/l di soluzione); il secondo (B) è costituito da tartrato di sodio e potassio (sale di Seignette) + NaOH (idrossido di sodio): 346g + 100g di NaOH/l di soluzione. Si scalda anche a bagnomaria e la comparsa di un caratteristico precipitato rosso mattone in presenza del carboidrato in esame. Il precipitato è ossido rameoso.

Hermann von Fehling

domenica 14 dicembre 2014

1A - Cellule vegetali al microscopio

Abbiamo guardato al microscopio la pellicina (epidermide; ingrandimento 100x) della cipolla:


L’osservazione mostra cellule di forma quasi rettangolare, unite tra loro come mattonelle. Sono compattate, senza spazi tra una cellula e l'altra. I contorni delle cellule sono ben marcati e costituiscono la parete cellulare. Nel nostro campione il nucleo è poco visibile.


Guarda qui altre immagini delle cellule vegetali realizzate dai compagni negli anni scorsi: http://bredainrete.blogspot.it/2013/11/botanica-cellule-vegetali-felci-licheni.html http://bredainrete.blogspot.it/2013/10/cellule-vegetali.html

Adesso guarda quest'immagine, il manifesto della mostra FOOD che si tiene al Museo di Storia Naturale di Milano:

Cosa rappresenta secondo te?

mercoledì 12 novembre 2014

1A- L'amido

L'amido è un composto contenuto in pane, pasta, riso, patate, caratterizzato da un gran numero di unità di glucosio polimerizzate, cioè unite a formare un polimero, una lunga catena fatta di tante unità di glucosio (che possono variare da qualche centinaio fino ad alcune migliaia).

L'amido è il carboidrato di riserva delle piante, immagazzinato come fonte energetica, prodotto a partire dal glucosio (C6H12O6), a sua volta sintetizzato dalla fotosintesi clorofilliana:

6 CO2 + 6 H2O + luce + clorofilla → C6H12O6 + 6 O2

(che vuol dire anidride carbonica e acqua in presenza di luce e clorofilla si trasformano in glucosio ed ossigeno)

Noi lo abbiamo visto al microscopio dopo aver preparato dei vetrini con un po' di polpa di patata a cui abbiamo aggiunto una goccia di tintura di iodio. Anche un chicco di riso cotto e schiacciato mostrava al microscopio i tipici granuli di amido.



La clorofilla è il pigmento verde contenuto nelle foglie.

2A- Scriviamo con l'inchiostro ferrogallico

Ecco le firme dei copisti della 2A:




















Prima della diffusione della stampa l'amanuense (chiamato anche copista) era chi, per mestiere, ricopiava manoscritti. Nell'antichità classica la professione di amanuense era esercitata dagli schiavi. Dall'Alto Medioevo fu coltivata soprattutto in centri religiosi come le abbazie. A volte non c'è un unico copista ad eseguire il lavoro di riproduzione di un testo.
Il monaco benedettino copiava nella sua cella seduto con il codice sulle ginocchia, a volte usando una tavola di legno come appoggio. Solo più avanti, nel Basso Medioevo, si usavano un leggio o un tavolo.

La parola amanuense deriva dal latino servus a manu, il temine con cui i romani chiamavano gli scribi. I monaci amanuensi vivevano molte ore della giornata nello scriptorium; a loro veniva permesso di saltare alcune ore canoniche di preghiera.

Ecco come nel best seller Il nome della rosa [Bompiani, Milano, 1980, pp. 79-91] lo scrittore Umberto Eco descrive lo scriptorium:

 ... lo scriptorium ... si offriva quindi ai miei sguardi in tutta la sua spaziosa immensità. Le volte, curve e non troppo alte (meno che in una chiesa, più tuttavia che in ogni altra sala capitolare che mai vidi), sostenute da robusti pilastri, racchiudevano uno spazio soffuso di bellissima luce, perché tre enormi finestre si aprivano su ciascun lato maggiore, mentre cinque finestre minori traforavano ciascuno dei cinque lati esterni di ciascun torrione; otto finestre alte e strette, infine, lasciavano che la luce entrasse anche dal pozzo ottagonale interno. 
L’abbondanza di finestre faceva sì ché la gran sala fosse allietata da una luce continua e diffusa, anche se si era in un pomeriggio d’inverno. Le vetrate non erano colorate come quelle delle chiese, e i piombi di riunione fissavano riquadri di vetro incolore, perché la luce entrasse nel modo più puro possibile, non modulata dall’arte umana, e servisse al suo scopo, che era di illuminare il lavoro della lettura e della scrittura. ... mi sentii pervaso di grande consolazione e pensai quanto dovesse essere piacevole lavorare in quel luogo. Quale apparve ai miei occhi, in quell’ora meridiana, esso mi sembrò un gioioso opificio di sapienza. 
Vidi poi in seguito a San Gallo uno scriptorium di simili proporzioni, separato dalla biblioteca (in altri luoghi i monaci lavoravano nel luogo stesso dove erano custoditi i libri), ma non come questo bellamente disposto. Antiquarii, librarii, rubricatori e studiosi stavano seduti ciascuno al proprio tavolo, un tavolo sotto ciascuna delle finestre. E siccome le finestre erano quaranta (numero veramente perfetto dovuto alla decuplicazione del quadragono, come se i dieci comandamenti fossero stati magnificati dalle quattro virtù cardinali) quaranta monaci avrebbero potuto lavorare all’unisono, anche se in quel momento erano appena una trentina. Severino ci spiegò che i monaci che lavoravano allo scriptorium erano dispensati dagli uffici di terza, sesta e nona per non dover interrompere il loro lavoro nelle ore di luce, e arrestavano le loro attività solo al tramonto, per vespro. I posti più luminosi erano riservati agli antiquarii, gli alluminatori più esperti, ai rubricatori e ai copisti. Ogni tavolo aveva tutto quanto servisse per miniare e copiare: corni da inchiostro, penne fini che alcuni monaci stavano affinando con un coltello sottile, pietrapomice per rendere liscia la pergamena, regoli per tracciare le linee su cui si sarebbe distesa la scrittura. Accanto a ogni scriba, o al culmine del piano inclinato di ogni tavolo, stava un leggio, su cui posava il codice da copiare, la pagina coperta da mascherine che inquadravano la linea che in quel momento veniva trascritta. E alcuni avevano inchiostri d’oro e di altri colori. Altri invece stavano solo leggendo libri, e trascrivevano appunti su loro privati quaderni o tavolette. ...

I manoscritti medievali sono alla base delle nostre edizioni moderne.
Studiare le opere classiche trasmesse attraverso i manoscritti significa confrontare ogni copia manoscritta conservata perché solo in rarissimi casi sono sopravvissuti gli originali.
Le opere che si leggono a scuola sono state ricostruite a partire dal confronto tra manoscritti conservati in biblioteche ed archivi. Naturalmente le copie non erano esenti da errori. Una leggenda attribuisce a un diavoletto, chiamato Titivillus, la responsabilità di questi errori.

Guarda qualche immagine tratta da codici antichi.
Le prime due sono l'ultima terzina dell'Inferno di Dante Alighieri, e la prima terzina dello stesso. La prima è la scrittura di Giovanni Boccaccio, un altro importante autore italiano, l'autore del Decameron. La seconda è una copia fatta dal Maestro Galvano. Ci sino altri manoscritti, il cui elenco si può vedere sul sito www.danteonline.it


Trascrizione:
Salimmo suso el primo (et) io secondo
tanto chio uidi delle cose belle
che porta il ciel p(er) un p(er)tugio tondo
Et quindi uscimmo ad riueder le stelle


Trascrizione:
Nel meço del camin de nostra uita
Me ritrouai per una selua scura
Che la drita uia era smarita

Questa invece è l'immagine di una pergamena conservata nel Monastero di San Gallo in Svizzera. E' una copia eseguita verso l'880-890 dei libri I-X delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia († 636). Tutte le informazioni sono sul sito http://www.e-codices.unifr.ch/it/list/one/csg/0231

Trascrizione:
Arithmetica et disciplina numerorum. Graeci enim numerum ἀριθμόν dicunt. Quam scriptores saecularium litterarum inter disciplinas mathematicas ideo primam esse voluerunt, quoniam ipsa ut sit nullam aliam indiget disciplinam.
Traduzione:
L’aritmetica è la disciplina dei numeri. I Greci chiamano il numero aritmon. Gli scrittori di materie secolari hanno voluto che fosse la prima tra le discipline matematiche proprio perché essa non necessita di altre discipline. Invece la musica, la geometria e l’astronomia, che seguono, hanno bisogno del suo aiuto per esistere.

Questo libro, le Etymologiae, può essere considerata la prima Enciclopedia della cultura occidentale. Fu redatta dal sapiente Isidoro di Siviglia, morto nel 636, sul finir della sua vita. Il titolo spiega il metodo metodo utilizzato da Isidoro per insegnare: spiegare il significato di una parola attraverso la comprensione della sua etimologia. E' suddivisa in venti libri in cui sono elencate parole che condensano la conoscenza umana del tempo di Isidoro. Per gran parte del Medioevo, è stato il testo più utilizzato per fornire un'istruzione educativa.

Per finire, ecco qualche disegno tratto da una raccolta di "scarabocchi" che i copisti facevano a margine dei testi che copiavano ( o forse sono pasticci aggiunti successivamente):



Sono stati raccolti e catalogati da uno storico del medioevo, Erik Kwakkel, che li chiama i doodles dell'antichità.

giovedì 6 novembre 2014

2A- Chimica del passato: preparazione dell'inchiostro ferro-gallico

Nel Medioevo venivano usati due tipi di inchiostri neri: il nerofumo (una sospensione ottenuta con carbone, acqua e gomma arabica) e l’inchiostro ferro-gallico (ottenuto dalle galle di quercia).
Il nerofumo è stato impiegato sin dal 2500 a.C., mentre l’inchiostro ferro-gallico a partire dal terzo secolo. Noi proviamo a prepararlo.

Materiali

Galle, 3 parti in peso 30g
Acqua, 30 parti in peso 30cl=300g
Solfato ferroso FeSO4, 2 parti in peso 20g
Gomma Arabica, 1 parte in peso 10g

Studiamo questi componenti della nostra ricetta

Le galle sono delle escrescenze abnormi ed indotte che si trovano sulle foglie, le gemme, i fiori o le radici delle piante. Sono prodotte da un insetto (cipinide) che deposita un uovo nel tessuto vegetale giovane. La galla cresce intorno alla larva, che si nutre e sviluppa all’interno.
La composizione chimica delle galle varia. La galla di ghianda di quercia contiene il 45-50% di acido tannico. Contengono un’elevata concentrazione di acido gallotannico.

Qui una bella rassegna sulle galle:
http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=23152 http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=22863
http://www.british-galls.org.uk/index.htm
http://www.british-galls.org.uk/hymenoptera-galls.htm

Il solfato ferroso o copparosa
Nei tempi antichi, la copparosa veniva estratta facendo evaporare l’acqua dai terreni ferrosi. Più tardi veniva prodotta aggiungendo l’acido solforico ai chiodi di ferro. Noi abbiamo utilizzato il solfato ferroso per uso agricolo (Attenzione! Sostanza nociva).

L’acqua 
L’acqua di rubinetto può contenere sostanze come il cloro che possono alterare la qualità dell’inchiostro. Usiamo acqua distillata.

La gomma arabica
La gomma arabica, una gomma naturale estratta dagli alberi di acacia ed utilizzata in alcuni cibi come stabilizzante, conserva la qualità dell’inchiostro:
mantiene in sospensione il pigmento, rende più
viscoso l’inchiostro e riduce la velocità con la quale l’inchiostro viene assorbito dalla carta.

Procedimento
Sminuzzare le galle e macinarle in un macinino da caffé.
Mettere le galle macinate in un becker ed aggiungere l’acqua.
Lasciar fermentare il miscuglio per 3 giorni, a temperatura ambiente, in un angolo soleggiato.
Durante il processo fermentativo, le galle rilasciano l’enzima tannasi dall’Aspergillus niger e dal Penicillum glaucum, funghi che si trovano nelle galle.
Nel giro di 3 giorni, la tannasi trasforma l’acido gallotannico in acido gallico e glucosio. Dopo che le galle sono state sminuzzate, ci sono due step chimici: la fermentazione, con la trasformazione dell’acido gallotannico in acido gallico, e la formazione del pigmento dell’inchiostro.
Filtrare la miscela ed aggiungere il solfato ferroso alla soluzione.
Mescolare bene e lasciar riposare per 3 giorni.
Aggiungere la gomma arabica, mescolare la miscela, ed ecco l’inchiostro.
Scrivere! 

Con questo tipo di inchiostro sarebbero stati scritti i rotoli del Mar Morto.

Questa attività è tratta da una proposta didattica del prof. Gianluca Farusi dell'ITIS di Massa Carrara.

venerdì 10 ottobre 2014

2A - Esperimenti con la paglietta di ferro

Foto fatte a distanza di circa 1h l'una dall'altra:



La pagliette bagnate con acqua e sapone, acqua ed aceto cominciano ad arrugginire.